Anonimato finto, dati in mano solo agli operatori di gioco: I paradossi del gambling online

Il gambling online: un paradosso che diventa, giorno dopo giorno, sempre più realtà. Oramai è prassi comune, per la maggior parte dei gamers italiani, giocare online, preferendo dunque un monitor o lo schermo di uno smartphone alle, oramai anacronistiche, sale da gioco. Cosa spinge un individuo a giocare in rete piuttosto che offline?

Anonimato, Gambling Online

I motivi sono, in sostanza, due. Il primo riguarda la possibilità di svagarsi senza limiti: è possibile entrare in una “room” – così vengono definiti i luoghi virtuali in cui si gioca -, fare la propria puntata e vedere l’esito del proprio azzardo senza vincoli né di spazio né di tempo. In questo modo, dunque, si ha una facilità che non si avrebbe se si dovesse uscire di casa e andare in una casa di gioco, sia essa un casinò o di altro tipo.

Il secondo motivo, però, è quello che spinge la maggior parte degli utenti a iscriversi a un ente online: l’anonimato. Nascondersi dietro un monitor e una tastiera, inserendo un nickname, quindi non il proprio nome, cela ovviamente l’identità e la propria voglia di gioco. Si pensa, pertanto, di essere dietro una maschera e che nessuno sia in grado di sapere che cosa si stia facendo in quel momento. Ma è realmente così?

Nella convinzione della stragrande maggioranza dei consumatori, le cose stanno proprio in questo modo. Ma non è altro che un anonimato finto. Al momento dell’iscrizione a un sito, infatti, la persona fisica rivela tutti i propri dati. Le case da gioco online, pertanto, prelevano dal nome al codice fiscale, passando per i conti in banca e il flusso di giocata.

Il giocatore, pertanto, pensa di essere protetto da una vista esterna, ma in realtà la situazione si capovolge contro di lui. L’organizzazione industriale del gioco d’azzardo, in Italia, conosce il profilo di circa 3,4 milioni di persone, possedendo, dunque, dei veri e propri dati sensibili che vengono prima incamerati e poi studiati. Le sale da gioco, infatti, valutano il flusso di giocata dei propri utenti e le loro abitudini per poi promuovere iniziative e promozioni che spingono il fruitore a investire ancora di più. In pratica, se da un lato l’individuo vorrebbe nascondersi dalla vergogna di giocare in pubblico, mostrando il suo volto agli altri, dall’altro si getta tra le braccia di chi cerca di spingerlo a moltiplicare gli investimenti.

Da questo punto di vista, la stravaganza maggiore è rappresentata dalla protezione di queste informazioni. Tutti i dati in questione, infatti, possono essere conosciuti dal sistema del gioco d’azzardo, ma non dal Ministero della Salute. Non è possibile, pertanto, utilizzare le indicazioni che spingono le persone a giocare, per permettere di curarle.

È proprio questa la battaglia che combatte Alea (Associazione per lo Studio del Gioco D’Azzardo e dei Comportamenti a Rischio), nata nel 2000 da un’idea del sociologo Maurizio Fiasco, che cerca di risolvere le problematiche del gioco d’azzardo nelle persone colpite da questa patologia. Da anni, Alea spinge affinché le informazioni in possesso delle sale da gioco d’azzardo, siano rese pubbliche in modo da contrastare i problemi derivanti dal gambling e cercare di mettere in condizioni i giocatori di superare le loro difficoltà.

Di sicuro c’è bisogno di un confronto, soprattutto tra gli enti dedicati all’azzardo e lo Stato, per cercare di far fronte a una situazione che sicuramente non è semplice. Da un lato, c’è la privacy delle persone, che vorrebbero proteggere il loro anonimato; dall’altro, però, c’è qualcosa che dovrebbe, in teoria, stare molto più a cuore: la loro salute.

Fonte : Giochidislots.com